Errare…

“Avendo io un’intelligenza leggermente superiore alla media, i miei errori tendono ad essere in proporzione più vistosi”
(Silente ad Harry Potter in HP e Il principe Mezzosangue)

Sono chiaramente un genio!
Ho un discreto numero di conoscenti che potrebbero testimoniarlo, ma è sufficiente l’autovalutazione vista la mia tendenza ad errori macroscopici.

Nonostante il mio impegno ad evitare di sbagliare, constato che non ne sono capace. Ritengo questa mia caratteristica retaggio dell’Umanità intera, ma non è cosa di cui dire mezzo gaudio.
Se tuttavia “errare è umano”, non è umano continuare a farlo.
Mi chiedo perché allora continui a sperimentare la mia ottusa incapacità di correggermi e ripercorrere più volte gli stessi errori… ma definirmi “diabolico” mi attribuirebbe un’intenzionalità che non posso riconoscermi.
Lo dico perché ultimamente mi capita di intestardirmi sulle mie idee, considerandole migliori di quelle altrui. Forse devo fare i conti con una mia presunzione strutturata di avere esperito e appreso più dei miei interlocutori. Così mi accorgo di “perdere” occasioni di confronto, mentre faccio del dibattito una sorta di battaglia per imporre le mie idee.
Se le mie opinioni fossero sempre giuste, non ci sarebbe problema alcuno…anzi sostenerle darebbe solo l’idea di un carattere sicuro e volitivo nel difendere le certezze conquistate, ma…
ma non è sempre così, anzi!

Sperimento la mia ottusità soprattutto con le persone che stimo e alle quali voglio molto bene. Mi succede particolarmente in quegli stati di loquacità inarginabile, nei quali mi pare di dire cose assolutamente originali. Scopro poi di aver presunto in me un’intelligenza che francamente non possiedo e di procedere per un balbettio scimiottante di idee altrui. Vero è che non me ne assumo la paternità,  riconosco lo spunto in ciò che ho letto o ascoltato altrove e semplicemente creo  connessioni.
Così facendo però, rischio di perdere l’occasione di ragionare anche con ciò che mi viene offerto da vicino e che ha il valore aggiunto di venirmi detto perché mi si vuole bene.
“Quanto spesso accade, anche tra i migliori amici! Ognuno ritiene di aver da dire qualcosa di molto più importante dell’altro!” prosegue Silente, scusandosi di aver imposto il suo punto di vista.
…ed è su questo punto che occorre riflettere.
Stabilire cosa sia più o meno importante, significa avere una scala di valore o comunque un metro di giudizio, capace di farci paragonare e scegliere.

Occorre sperimentare nuovi punti di vista per comprendere meglio…e più mi addentro in questa esplorazione, meno riesco a trarre un giudizio univoco: la realtà è cangiante a seconda di come la illumini.

Nella nostra professione educativa la lettura della realtà non può essere disgiunta dalla valutazione “etica” sul comportamento umano: questa ci fa esprimere un’opinione sulla condotta giusta o sbagliata, buona o cattiva, ci fa attribuire un’intenzionalità e un’opportunità di ciò che viene fatto o detto.
Osservo che mentre procedo con interventi pedagogici di routine, mi assumo il rischio di imporre i miei punti di vista come non negoziabili e migliori in assoluto. Da educatore devo certamente avere una mia ragionevole scala di valori e un modello di pensiero da proporre: il mio compito principale è quello di sorvegliare che questo non sia banale o di basso profilo (che vuol dire poi renderlo adattabile in modo elastico a ciò che mi fa più comodo). Ma occorre anche non irrigidirsi su posizioni estremizzate che autosostengono e autogiustificano tutto: lo ammetto non mi piacciono gli -ismi, a partire proprio dai fondamentalismi.

L’etica non può essere unica e autoreferenziale, ma certo non può lasciarsi piegare facilmente e accomodare all’interesse personale. Il relativismo non può certamente essere un modo efficace di procedere nella valutazione dei valori, perché ha il difetto di rendere la scala assolutamente piatta. Le scale servono per andare in alto, se sono piatte non ci fanno passare a livelli superiori. Diventa fondamentale quindi che ogni educatore, in tutte le declinazioni che il ruolo propone, si interroghi costantemente sui propri principi, che li renda palesi nell’esercizio del proprio lavoro e si apra serenamente ad un confronto, poggiante però sulle basi solide di una ricerca personale approfondita e non spiccia.

Poi si può serenamente scoprire di aver sbagliato e si può ritornare sui propri passi, senza lasciarsi adombrare da una sconfitta, perché nessuno ci crede un superuomo e anche noi dovremmo riconoscerci e accettare la nostra umanità nell’errore, sempre presente, mai eliminabile.
Non c’è vergogna nel tornare indietro, poiché la ricerca del giusto e del vero non è corredata da mappe sicure.

Mi rassegno quindi con pazienza a rimettermi in cammino, nella certezza di errare ..
errare, nel senso di procedere sbagliando;
errare, nel senso di lasciarsi sviare dai principali obiettivi della ricerca;
errare, nel senso di ” procedere vagabondando” perché non ho un approdo sicuro né una destinazione certa di cui dirmi alla fine soddisfatto.

E cosa c’è di più bello nell’avere a disposizione una vita per cercare il senso di se stessi e dell’uomo?
Non conta l’approdo, ma solo l’aver camminato.

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