La lezione di Silente

Mi capita di voler rileggere un libro.
Lo faccio per il gusto di riassaporare una storia con le immagini (sempre nuove!) che la mente mi propone.
Così raccolgo nuove sensazioni e particolari, che prima mi erano incomprensibilmente sfuggiti.
Mi succede spesso, anzi sempre!
Tutte le volte che rileggo un buon libro.
E, sempre, mi chiedo come possa aver sorvolato su una rivelazione così importante o su un particolare così illuminante, che la volta precedente mi era sfuggito.

Sto rileggendo la saga di Harry Potter. Per diletto lo ammetto, senza alcun intento di studio…e lì, proprio lì, al penultimo libro (il principe mezzosangue) mi cade l’occhio su una frase del mago Albus Silente.
“E’ più facile perdonare gli altri quando si sbagliano che quando hanno ragione”.
Mi fermo e la rileggo.

Si tratta del momento in cui Harry Potter chiede all’amico Ron Weasley come mai suo fratello Percy continui a non parlare con la sua famiglia, anche dopo aver scoperto di aver torto proprio sulla questione che ha originato il disaccordo.
Hermione, l’amica “secchiona”, riporta di aver sentito la frase detta da Silente alla signora Weasley. Così si spiega la persistenza di questa posizione simmetrica, che impedisce ai Weasley di riallacciare i rapporti.
Tutti si aspettano che sia l’altro a fare il primo passo: ..e nessuno si muove.
Nessuno vuole “perdere” individualmente, per “guadagnare” insieme, una relazione a cui in tutti tengono realmente.

Modo stupido di risolvere i problemi: il disaccordo si protrae perché prende forza proprio dall’incapacità di rinunciare ad una vittoria simbolica, per guadagnare una vittoria per tutti.
Capita a ognuno di tenere più in conto la propria “presunzione di ragione”, che di considerare anche una sola “possibilità di essere in errore”.

Io mi attribuisco una certa dose di infallibilità personale, diciamo pure non assoluta, ma che mi spinge a sostenere con alta frequenza quelle che ritengo le mie ragioni contro le evidenze contrarie postami dagli altri. Per me si tratta, al di là del fatto che l’esperienza mi regala in egual dose ragioni e torti, di un bisogno di coerenza dei miei pensieri.
Non quindi di una mera presa di posizione irrigidita in cocciutaggine. Il che, se non mi assolve, certo mi rende “meno colpevole” di presunzione.
Ma pensandoci bene, la realtà è che, non potendo vincere, sono più disposto a perdere, se perdono anche gli altri.
Una strategia “perdo” – “perdi”. L’adagio popolare la dice con “mal comune, mezzo gaudio”.  Sembra quindi che questa sia una condizione comune e molto frequente, se merita un proverbio. Non piace a nessuno perdere e certo neppure a me.

Mi chiedo il senso dell’aforisma strampalato di Silente.
“E’ più facile perdonare gli altri quando si sbagliano…” perché lì è chiaro che sono gli altri ad avere torto…e, almeno moralmente, la vittoria è mia.
Ma come faccio a perdonare qualcuno che ha ragione?
… che vuol certamente dire che il torto è mio!

“Sembra proprio il genere di cose assurde che potrebbe dire Silente”, commenta Ron.. e viene da condividere…però…

Torno indietro e tento una lettura differente.
Mi sembra di cogliere un ribaltamento di prospettiva: è chi ha torto che deve iniziare a perdonare chi ha ragione. Cerco un significato gnostico, capace di rivelare ciò che sfugge ad una lettura superficiale.
Azzardo una interpretazione: non ci si deve fermare ad aspettare che il primo passo venga fatto da chi dovrebbe, ma bisognerebbe sempre chiedersi cosa posso fare io per primo. Se faccio io il primo passo corro il rischio di “vincere”. In fondo peggio non può andare.
“E’ più facile perdonare gli altri quando si sbagliano che quando hanno ragione”.

Il punto è che, per superare le cose che non vanno, un passo deve essere fatto e Silente pare proprio suggerircelo chiaramente: bisogna perdonare.
Per chi ha seguito la saga, il perdono di Silente si fa preghiera e annullamento nel sacrificio perché il bene di molti possa compiersi.
Il perdono è un “per-dono”…che non si aspetta ringraziamenti, approvazione, pubblico riconoscimento. E’ una filosofia, che fa del “donare” la possibilità di creare una relazione nuova.
Già perché, a voler ben guardare, anche il torto è una forma di dono. Per nulla gradito! E’ qualcosa che passa da chi ce l’ha (il torto appunto) a qualcuno che lo riceve (subendolo)…un dono che ferisce, anche dietro le migliori intenzioni: il torto si pone in agguato, travestito da ragione e si “regala” all’altro.
Non è facile riconoscerlo, si ammanta di plausibilità e certezza insindacabile, di motivazioni “logiche” e di referenzialità che lo rendono una “ragionevole” ragione.

Qualcosa non mi quadra: io non vinco, loro pérdono e io …perdòno loro di non avermi fatto vincere.

Mi lascio suggestionare dalle parole: gli altri pérdono (nel senso di perdere, perché non trovano riconoscimento della loro ragione), io perdono (nel senso di perdonare per un dono che mi fa perdere le mie ragioni). Ma per-dono si ripara al torto maggiore di non ammettere che l’altro possa avere ragione.

Capisco qualcosa di più : “per perdonare bisogna perdere“.

Il perdono si fa quindi ascolto, difficile, sofferente, ma capace di lasciarsi interpellare dal dubbio, di cambiare prospettiva, di farci vedere una nuova via per ricominciare la relazione compromessa.

“E’ più facile perdonare gli altri quando si sbagliano che quando hanno ragione”… la lezione di Silente è che non c’è differenza tra sbaglio e ragione…un punto solo è importante…imparare a perdonare.

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