Una teoria della Relatività

Il più noto dei Sofisti, Protagora, afferma nella sua proposizione fondamentale che “l’Uomo è misura di tutte le cose” ovvero è “misura delle cose che sono per ciò che sono e di quelle che non sono per ciò che non sono”.
Protagora, che nacque all’incirca nel decennio della prima guerra persiana contro i Greci (quella della battaglia di Maratona, per intenderci), indicò probabilmente con “misura” la “norma di giudizio” e con “cose” i “fatti in generale”.
Intese quindi l’homo mensura come concetto relativo in cui è proprio il singolo uomo criterio relativo dell’essere e del non-essere, del vero e del falso.

Non propongo di addentrarci nella speculazione filosofica: non ho sufficiente conoscenza della materia.
Tuttavia vorrei proporre una breve riflessione, prendendo l’affermazione di Diogene Laerzio che attribuisce a Protagora la dichiarazione che “attorno ad ogni cosa ci sono due ragionamenti che si contrappongono fra loro”, in modo che sia possibile dire e contraddire allo stesso tempo.
Lo scopo del sofista è senz’altro quello di produrre abilità antilogiche nel discente, nel tentativo di insegnare ad organizzare un duello di ragioni contrapposte, ovviamente con il fine di portare a vittoria i propri argomenti, non certo di insegnare ingiustizia contro la giustizia, o il falso contro il vero.

Di relativismo  dunque parliamo. E della facilità in cui si può sostenere il ribaltamento di bene e male, di vero e falso, ecc..

Lo notiamo quotidianamente, vedendo i nostri politici capaci di trasformare il male (compiuto) in un bene (dichiarato), di riconoscersi puri per “effetto loto” (in cui, come il fiore, si mantiene una propria pulizia facendo scivolar via le cose che insudiciano), di farsi strumento per motivi superiori anche applicando mezzi criminali. Troppo difficile fare i nomi dei migliori rappresentanti di questa categoria, che non si saprebbe scegliere senza il timore di trascurare altri della medesima caratura. Perché è davvero complesso decidere il migliore esponente nel peggio.

Ma noto che questo non è mal costume e indegno comportamento di pochi o di una sola categoria.
Anzi! E’ certamente diffuso tra i più: capaci come siamo di eleggere noi stessi come unica “misura delle cose”. Protagora  è in errore, perché nessuno basta a se stesso e può essere riferimento del tutto. Ma è evidente che il “relativismo” deve ammettere di considerare un’ipotesi antitetica, che obbliga a resistere alla tendenza autoreferenziale che è insita ad ogni uomo (nel senso che va riconosciuto come la Verità troppo spesso  coincide con la mia sola verità, relegando tutto ciò che è difforme alla categoria della menzogna).

Neppure si può considerare che tutto (proprio tutto) sia “relativo” e “giustificabile”, asserendo una impossibile risoluzione nella fissazione dei valori fondamentali della vita.

Fuggiamo quindi sia la tentazione di infallibilità personale che lo scoraggiamento derivante dall’assenza di criteri assoluti.

Nel Teeteto, Platone definisce come la proposizione protagorea dell’ homo mensura abbia un campo di applicazione decisamente pragmatico, affermando che per il Sofista non esistono certamente valori (e quindi un Bene) assoluti, ma è tuttavia possibile ritenere che esista un più utile, più conveniente e, quindi, più opportuno. Un più corretto.

Ecco che non può esistere un unico modo di fare educazione e, conseguentemente, si debba ritenere inscrivibile un “Manuale applicativo” per fare educazione.
Non ci può essere quindi una pragmatica assolutista di riferimento. Semmai, possiamo ritenere di poter tracciare una guida capace di orientare verso un più utile, un più conveniente e, quindi, un più opportuno.
Significa che la validità dell’azione educativa si manifesta nelle prassi ed, evidentemente, negli esiti ottenuti, potendo definire così ciò che è maggiormente corretto (perché tendenzialmente garantisce un più probabile ottenimento degli obiettivi fissati). Ovvio che nessuno da solo possa garantirsi di essere maestro di questa virtù (non nel senso cristiano del termine, quanto in quello dell’areté greco, ovvero di eccellenza di abilità).
Devo deludere chi, tra i miei colleghi, ancora ritiene di poter fornire all’altro pillole di saggezza operativa o di chiedere sicure modalità di azione.
Nella professione educativa si può solo dire con certezza che tutto “dipende”.  Troppe sono le variabili e complessi i fattori coinvolti.
Ma nessuna “disperazione professionale”: occorre darsi un metodo e costruire una teoria.

Tra educatori ne emerge la necessità di lavorare in équipe, facendo forza sulla “diversità” e sulle “antilogie”, che abituano a rendere il discorso pedagogico “dialogico” in una capacità di porre sottolineature e punteggiature in modo collegiale.
Valida proposta (e a maggior ragione!) per i genitori, in cui mi vien da raccomandare non l’omogeneità di pensiero, piuttosto quella di azione (a seguito sempre di opportuno scambio e ragionamento comune, o almeno dove sia possibile).

E torno un passo indietro.
“Giusto e sbagliato, vero e falso”.
Possiamo trovare contrapposizione su ogni argomento, poiché sia l’uno che l’altro sono motivo di “interpretazione” individuale, impossibile da “normare” definitivamente.  Abbiamo infatti bisogno di giudici: che, per l’appunto, interpretano leggi e disposizioni, e definiscono una verità detta “processuale”, cioè ottenuta per speculazione e ricostruzione di un “probabile e logico” processo che la “spiega”.
Troviamo quindi un metodo “pragmatico” di procedere, che ci orienta verso un modo più corretto e che non è mai dato definitivo “una volta per tutte”.
Si genera un “conflitto”, tra più verità, tra più cose “giuste”, di cui non è possibile dire chi e come abbia “definitivamente ragione”. In educazione non se ne esce facilmente con risposte preordinate sicuramente “valide”, se non per questioni assolutamente acclarate per cultura, prassi o credenza diffusa.
Ma non è su questo che si può “fare la differenza”.
Propongo uno stile…”relativista” ma non “autoreferenziale”.
Valido non per i problemi generali, piuttosto per le “sfumature” seppure sostanziali.
Amo i “dettagli”, che rendono ricco il quadro di insieme.
Amo la punteggiatura, che dà un senso nuovo alle cose.
Amo il confronto, che mi rivela significati ignorati.
Per Platone, “ogni problema ha tre soluzioni: la mia soluzione, la tua soluzione e la soluzione giusta”.
Da genitore ed educatore mi accontento di aver capito che oltre alla mia, c’è anche la Tua soluzione…
…per quella “giusta”, la teoria della relatività funziona male… ma sono certo che abbiamo “materia” ed “energia” sulle quali lavorare insieme.
E chissenefrega se non riusciamo a farlo con il quadrato della velocità della luce.
Mettiamoci il tempo che serve.
Mettiamo le cose a “misura dell’Uomo”.

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