Punteggiature e discorsi: quando l’educando si innamora dell’educatore – 3

La mia collega mi sollecita ad approfondire il discorso sull’innamoramento, lasciando temporaneamente la punteggiatura in sospeso. Il quesito provocatorio (ma certo realistico) pone l’accento sul governo dei sentimenti oltre la “difesa” offerta dalla relazione professionale. Cosa succede se al cliente, che dichiara di essersi innamorato (e al quale abbiamo risposto che per “ruolo” non è possibile che si sviluppino relazioni privilegiate ed esclusive di amore romantico), dobbiamo poi comunicare che cambiamo lavoro?
Sarà lecito attendersi che caduto l’ostacolo del dovere professionale, il quale impedisce di avere trattamenti preferenziali, si ripresenti la richiesta di vivere una relazione intima…alla quale si risponderà con tutta probabilità che non siamo certamente interessati a viverla. Mi viene suggerito di dichiarare l’indisponibilità personale da subito: questo rende certa la “chiusura” alla relazione ed impedisce che il tema si riproponga. Si fa chiarezza dei sentimenti non corrisposti e si rischia di anticipare una sofferenza che sarà comunque inevitabile.

Non posso essere d’accordo, seppure la logica della mia collega sia stringente e pertinente. In fondo la “verità” sopravanza e si espande arrivando anche laddove non si vorrebbe arrivasse, ma esistono “verità” che si possono raccontare solo parzialmente ed è bene farlo in tempi maturi. Sono quelle che vengono dette “narrabili”, cioè che possono essere raccontate per venire accolte e comprese.

Una questione di tempo opportuno, di “kairos”.
Non sono quindi dell’idea che la verità, tutta insieme e senza un’adeguata chiarezza costruita quotidianamente sul “posso esserci nella tua vita ma in un modo diverso da quello che ora desideri”, sia da comunicare immediatamente (magari dichiarando che il nostro cuore si rivolge esclusivamente ad un’altra persona).
Perché è necessario un tempo per lasciar cogliere e sedimentare un “rifiuto” che non parla di “solitudine”, ma si offre come una presenza continua e capace di mantenersi sullo “sfondo”.
Ma è certo che il “cronos” spinga l’operatore a risolvere in fretta, chiarire la propria posizione, chiudere il problema velocemente….
…e l’educando come reagirà.

La mia collega è ad inizio della professione, ma è persona intelligente e acuta. Teme di doversi smentire, se dovesse capitare a lei una situazione così complessa da gestire. E’ preoccupata di difendere la verità e di testimoniarla sempre e completamente. Non ama le “mezze misure”, si sente “forte e robusta” delle proprie convinzioni (..”nomen omen” ).
Tuttavia non considera adeguatamente l’effetto che ogni rifiuto nella relazione lascia…
Non che non se ne preoccupi…anzi. Ma credo ritenga importante non tralasciare di distinguersi e separarsi da una relazione che la preoccupa perché la chiarezza è necessaria per evitare che diventi invischiante.
Io temo invece che  il dolore che lascia una relazione sognata e desiderata che si interrompe perché l’altro non vuole sia troppo forte da metabolizzare in un unico passaggio…serve tempo…perchè il sentimento si trasformi e resti un’esperienza positiva.

La paura di restare soli per sempre ci fa sentire diversi.
Per questo ricordo sempre ai miei “ragazzi” che non saranno mai soli, che non intendo lasciarli soli, anche se dovrò mantenermi sullo “sfondo”, con una presenza discreta che rassicura e non impedisce di crescere: perché l’unica ricetta contro la disperazione è essere certo di essere “giustamente” amato e “veramente” importante per qualcuno che ci vuole  bene..oltre tutto quello che noi siamo…per tutto quello che noi siamo.

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