Osservazione dell’assetto funzionale del cliente

L’elaborazione di una seria progettualità educativa passa per la “conoscenza” del soggetto destinatario dell’intervento. E’ un’ovvietà! Tuttavia non sono pochi i progetti educativi che tradiscono una stereotipizzazione dei soggetti e una standardizzazione dei percorsi: come se le persone con problemi simili fossero categorizzabili in bisogni, abilità e comportamenti uguali e definibili. L’esperienza ci rende evidente che, seppure le categorizzazioni dimostrano vantaggi interpretativi e (se ben condotte) anche una buona predittività, il rischio di fare della diagnosi comportamentale una teoria esplicativa del “tutto” ciò che riguarda l’individuo è troppo alto.
L’utilizzo di uno strumento codificato per l’osservazione del “funzionamento” è precondizione per poter analizzare bisogni, risorse e redigere un piano di lavoro orientato a obiettivi “sensati” per il soggetto.  Il rischio di credere ad una “panacea” educativa, fatta di percorsi standardizzati e ritenuti attagliabili a persone con problemi similari, è una tentazione fortissima per almeno due motivi: il primo riguarda il desiderio di avere una sorta di “manuale educativo” contenente le risposte a qualsiasi interrogativo o situazione e capace quindi di dare una “speranza” di rimedio o di “cura”; il secondo per una certa “speditezza” nel prendere decisioni e nel passare velocemente all’azione.
Nell’educazione degli adulti infatti le trasformazioni non sono così evidenti e l’educatore rischia lo sconforto professionale di un impegno che non si ripaga in evidenze di cambiamento positive. L’esaurimento professionale passa anche dall’impossibilità di procedere a una valutazione del proprio operato in tempi ragionevolmente rapidi: quando infatti l’arco temporale della trasformazione dura molti mesi  o addirittura anni, l’educatore deve attendere conferme su tempi troppo dilatati per avere dati sull’efficacia delle proprie modalità di intervento. Succede quindi che altri operatori intervengano a sostituire le azioni di un primo, che nel frattempo ha assunto nuovi compiti o  semplicemente cambiato lavoro. Le parti documentali restano quindi l’unico elemento capace di fare da trait d’union nella storia degli interventi a favore della persona, sopratutto se non “sopravvive” lo stesso operatore a garantire l’intero percorso. Le ragioni del “documentare” vanno però ben oltre: la memoria e l’esperienza professionale cambiano nel tempo le percezioni e le interpretazioni anche dello stesso operatore, che se sottovaluta la registrazione rischia di non ricordare esattamente (enfatizzando o sottostimando i risultati del progetto).

L’osservazione iniziale del comportamento e del funzionamento di un soggetto che viene avviato in un progetto educativo ha quindi il duplice scopo di porre le basi per la costruzione “personalizzata” delle azioni da implementare (base della redazione progettuale) e di fissare un punto di partenza per una valutazione che necessiti di rilevare lo stato ex-ante all’intervento.

Occorre quindi che l’operatore si doti di uno strumento adeguato per rilevare almeno l’ ASSETTO FUNZIONALE del soggetto, da utilizzare per l’elaborazione del progetto educativo. Nella mia esperienza ….

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