Il “dialogo” come metodo del discorso educativo – 1. Premessa

Platone descrive l’arte maieutica di Socrate, che si avvale del “dialogo” come suscitatore di argomentazioni logiche tese a far progredire il “discorso“. Non a caso, è attraverso il discorso che si sviluppa il ragionamento, capace di essere motore di riflessione e di “arricchimento” personale. La dottrina della maieutica ha il preciso compito etico di fare dell’ascolto reciproco un modo efficace di rendersi comprensibili e di comprendere: un guadagno appunto, che nasce dalla condivisione dello sforzo speculativo capace di superare l’impasse dell’errore generato dalle false credenze (“Il vero sapiente è colui che sa di non sapere).
L’esame socratico procede sostanzialmente in modo negativo, nell’ottica di liberazione dall’errore di pensiero, prima ancora di proporsi come guida alla ricerca. E’ il “dubbio metodico” che si esprime nell’ironia (base del procedere speculativo socratico): attraverso l’esprimere con esagerata modestia il proprio “non sapere” si fa metodo per interrogare e smascherare la millanteria (che per opposto è di coloro che vogliono far credere di essere sapienti). Minare certezze non per il gusto di far crollare i fondamenti, ma per spingere ad una ricerca nel “confronto” con l’altro.
E’ un nuovo metodo di pensiero: il “tirare fuori”, che è precipuamente l’arte della maieutica, è un procedere per scoperta, per confronto, per ragionamento che solleva a piani maggiori…che è appunto un profitto da raggiungere insieme.

Vero è che il guadagno di pensiero (seppur spesso sbilanciato dal contributo del filosofo/educatore) nasce dall’incontro/ascolto che proprio il confronto fa raggiungere.
Con un chiaro distinguo: la “dialettica“, che è arte del ragionare e del pensare, non è esercizio di  forza per imporre all’altro la propria opinione o modo di persuasione, ma appunto un beneficio che va a profitto di tutti.
Il dialogo è quindi un metodo di una strategia “vinco/vinci” che, sviluppando una base di comunicazione positiva verso l’ascolto, permette di “tirar fuori” idee ed opinioni arricchenti per ognuno. Come a dire che “se l’unione fa la forza”, sempre ne giova il pensiero quando se ne allargano gli orizzonti.

“Comunicazione positiva” abbiamo detto, cioè “messa in comune”. Non mera trasmissione di idee, valori, pensieri.
Il dialogo educativo è appunto “comunicazione”, che raccoglie la responsabilità del ruolo pedagogico del porsi in servizio per costruire un patrimonio comune (dal latino “commune” ovvero di chi compie un proprio dovere verso gli altri in ragione del proprio ruolo – “munis” ha infatti il senso di funzione, incarico).

Non che la comunicazione, incentrata sull’ascolto e sull’interrogare e mettere in discussione, sia affar facile da condurre…anzi!
Nel “Sofista” di Platone, il dialogo procede per diairesis e coinonia, ovvero con la frammentazione, la divisione e l’analisi delle parti del discorso (per scegliere quella opportuna e inerente la ricerca) e la successiva definizione, ricomposizione e unificazione. Il procedere non è dunque per imposizione di teorie o peggio per tentativi (non una “trasmissione”), come troppo spesso si vede fare nel rapporto educativo, piuttosto per definizione comune delle parti che si intendono prendere per buone e comuni e nella loro composizione in discorso unitario.
Regole comuni quindi, per un discorso da far progredire insieme.

Esiste quindi un modo per il dialogo, non solo uno scopo!

Il dialogo non deve esser volto a procedere per superamento delle contraddizioni, piuttosto a cogliere gli elementi di condivisione che possono creare una piattaforma comune di valori, pensieri e azioni: da qui si possono comprendere “le ragioni dell’altro”… e pure le “ragioni” che vanno contro il proprio interesse.
Il punto diventa non tanto il condividere, nel senso comune dell’accettazione dell’opinione dell’altro, quanto il lasciarsi interrogare dalle motivazioni che l’altro propone.
Analizzando, certo.
Approfondendo scrupolosamente, anche.
Ma investendo sulla certezza che il discorso non sia fatto per creare divisione, ma per integrare i punti di vista ed ampliarne il panorama comune.
Comunicare…mettere in comune, quindi.

Un fatto di “fiducia” anzitutto, che si sposa con la “disponibilità” a mettersi nelle scarpe altrui.
Fiducia è anzitutto il non ancorarsi a posizioni preconcette

La psicologia indica nel “cogliere i pensieri ed il sentire dell’altro” il metodo dell’empatia, che proprio attraverso la disponibilità all’ascolto sa creare un clima di fiducia del paziente nel lavoro dello psicoterapeuta. L’empatia è una profonda forma di comunicazione capace di mettere in “dialogo” il soggetto con il terapeuta, di attivare un discorso che cura a partire dalle risorse dell’altro.

L’empatia è quindi una sorta di immedesimazione che fa identificare una persona con l’altra; per la Psicoanalisi è proprio il “percepire empatico” una forma di comunicazione profonda e inconscia che lega i soggetti in dialogo (Freud pensa che l’immedesimazione causata dall’empatia sia quello che “più di ogni altro processo ci permetterà di intendere l’IO estraneo di altre persone”. La Psicologia fenomenologica la chiama simpatia e vi vede la base per la comunicazione in una condizione esistenziale  che è data dall’ essere in un mondo comune. (“l’uomo vive negli altri più che in se stesso, più nella collettività che come singolo individuo” – Scheler).

Non è quindi possibile prescindere dall’incontro con l’alterità, sia per un motivo di conoscenza, sia per la ragione di socialità che vede l’uomo come essere relazionale.
Per il filosofo e pedagogista austriaco Martin Buber, il tema dell’“intersoggettività” è l’elemento centrale che sostanzia l’essere umano come dialogo continuo che si realizza nell’incontro. Il “NOI” nasce dall’incontro di un “IO” e un “TU”, un’apertura all’altro sempre a rischio di rifiuto, ma l’unica capace di dare il vero senso all’essere uomo.

Proprio della comunicazione empatica (che permette di misurarsi con l’altro mettendosi in comunione) è il metodo del “dialogo” che diventa strumento di straordinario valore e di grande efficacia.
Preserva l’altro innanzitutto; le sue ragioni, le giustificazioni e l’autonomia di pensiero, ed offre un piano di incontro per un ulteriore elaborazione che porti a sviluppo personale e a conquista di nuove riflessioni e ulteriori obiettivi, dove il “cambiamento” non venga imposto, suggerito o caldeggiato, ma sia piuttosto interiorizzato come necessario, desiderato e valorizzato.
Solo il procedere dialettico fa fare esperienza positiva dell’individuo nel confronto con l’altro, sia che abbia le funzioni di amico, che di terapeuta o di educatore.

Il “dialogo” è quindi un potente strumento che permette di inserire positivamente l’individuo nell’esperienza sociale, ma è pure un metodo di lavoro pedagogico che propone di rispettare l’altro e il valore che porta, capace di una ricerca mai banale della verità, del giusto e del buono.
Una esperienza che possiamo definire “gestaltica”, nella sua capacità di far superare la mera somma dei vari contributi e delle singole parti  generando un approfondito discorso educativo.

 

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